Il nuovo fronte di guerra in Israele fa passare in secondo piano le tematiche prettamente economico-finanziarie.
Di fronte al rischio di un’escalation militare, con l’allargamento del conflitto che non si limita alla rappresaglia israeliana verso la striscia di Gaza, gli aumenti degli spread piuttosto che il rallentamento dell’economia diventano di colpotemi secondari o, per lo meno, di rilevanza inferiore.
Peraltro, come sempre succede, le tensioni geo-politiche non lasciano indifferenti i mercati, soprattutto laddove possono portare al coinvolgimento di potenze mondiali o innescare reazioni che possono sfuggire al controllo degli apparati: e ben sappiamo come l’area medio-orientale sia, da sempre, tra le più calde al mondo.
Da quando, il 14 maggio 1948, è stato proclamata la nascita dello Stato di Israele, ciclicamente assistiamo a veri e propri atti guerra: già nelle 24 ore successive alla sua proclamazione, le forze armate di alcuni Paesi arabi (Egitto, Giordania, Siria, Libano) invasero i confini del nuovo Stato. Clamorosa la coincidenza di quanto successo proprio 50 anni: anche allora (era il 7 ottobre) erano in corso i festeggiamenti dello Yom Kippur , la festività più sacra del Paese, incentrata sul perdono e sul pentimento, durante la quale, per almeno 24 ore, ogni attività si ferma, e i cittadini osservano un completo digiuno. Il conflitto durò circa 20 giorni e si concluse senza un vero vincitore, grazie anche all’intervento di Stati Uniti e Russia, che evitarono che un’escalation più grave. Ben diverse furono le conseguenze a livello economico: alla guerra, infatti, si può imputare la crisi petrolifera che diede inizio ad una delle fasi economiche più difficili che si ricordino e che cambiò non poco le abitudini di vita delle persone.
Qualsiasi valutazione, quindi, per ora è prematura. Ovviamente la speranza è che la guerra “vera e propria” si possa risolvere in poco tempo senza un allargamento ad altri Paese limitrofi. Molto potrebbe dipendere, in tal senso, dalla sorte delle centinaia di cittadini israeliani ostaggio dei Palestinesi.
Di certo, a livello politico e militare, si può dire che, almeno in Israele, assisteremo al ritorno di misure di sicurezza ancora più rigide e, probabilmente, ad atteggiamenti più intransigenti, che non aiuteranno la convivenza tra mondo arabo (è certo che dietro gli attacchi di Hamas ci sia l’Iran, oltre che alcune frange terroristiche che hanno sede in Libano) e israeliani. A destare non poco stupore le clamorose falle nell’apparato di sicurezza israeliano, ritenuto, sino ad oggi, uno dei più efficienti al mondo (solo pochi giorni fa avevano rassicurato sull’assenza di prossime azioni terroristiche o di guerra…..).
Anche a livello finanziario ogni previsione può essere azzardata.
Questa mattina i mercati, pur essendo, come prevedibile, negativi, non sembrano in preda al panico. Certamente, se il conflitto dovesse propagarsi e non dovesse concludersi in breve tempo, il mondo vedrebbe aprirsi un “nuovo fronte”, forse ancora più caldo rispetto al conflitto russo-ucraino. Forti sarebbero le implicazioni politiche, essendo i Paesi contendenti appoggiati, come ben sappiamo, da schieramenti da sempre in contrapposizione. Ma proprio l’esigenza di non allargare le parti in causa potrebbe essere l’elemento che maggiormente porta a trovare una soluzione di pace (per quanto “armata”).
Gli indici asiatici, al momento, non danno particolari segni di nervosismo:ad Hong Kong l’Hang Seng, per alcune ore chiuso a causa dell’ennesimo uragano, sale dello 0,58%, mentre Shanghai, che riapre dopo una settimana di festività , cede lo 0,38%. Chiuse le borse di Tokyo, Corea del Sud e Taiwan.
I futures indicano una partenza negativa generalizzata, con gli indici visti in calo moderato (– 0,50/- 0.60%).
In rialzo, di contro, l’indice Vix (altresì detto “della paura”), che guadagna oltre il 3%.
Chi invece fa notare movimenti importanti sono le materie prime.
Ne sono evidenza il petrolio, in forte aumento, con il WTI che rimbalza di quasi il 4% (3,79) a $ 86,03 (va però tenuto conto che la settimana scorsa ha perso oltre il 10% ) e l’oro, sale di circa l’1%, a $ 1.865,80 (da sempre il metallo prezioso ha un valore di protezione e lo scoppio di conflitti, tradizionalmente, ne favorisce l’apprezzamento).
In aumento anche il gas naturale Usa, che si porta a $ 3,44 (+ 2,85%).
Non da particolari segni di nervosismo neanche il $, valuta anche questa che assume un valore ancor più difensivi in presenza di tensioni geopolitiche: questa mattina scambia, verso €, a 1,0543.
Spread che si conferma oltre i 200 bp (202,5).
BTP al 4,90%.
Bund al 2,88%.
Senza movimenti particolari in Treasury Usa, sempre intorno al 4,70%.
Bitcoin ad un passo dai $ 28.000 (27.904).
Ps: la settimana MSC (Mediterranean Shipping Company, la società che fa capo a Gianluigi Aponte) ha ufficializzato l’acquisto di Italo Treni, società fondata anni fa da Luca Cordero di Montezemolo insieme ad altri imprenditori italiani, valorizzandola oltre € 4 MD. ieri, invece, da Malpensa, è decollato il primo cargo italiano targato MSC. Navi, treni, bus, aerei: difficile definire il colosso dei trasporti solo come operatore navale oramai (di italiano, peraltro, ha ben poco, oltre le origini del fondatore, avendo la società sede in Svizzera).